domenica 5 febbraio 2012

Il piuccheperfetto esiste anche in italiano


Ho avuto questa discussione mesi fa, con due delle persone che amo di più al mondo. Secondo loro il piuccheperfetto esiste in spagnolo e in latino, ma non italiano.
Per me invece esiste.
Mentre guardo i miei foulard indiani appesi a mo' di tende, che colorano questo grigio inverno belga - o si illudono di farlo, ripenso a quell'odore di quell'albero in quella via in quel preciso periodo dell'anno, quando torni a casa in bici e hai fame.
Al rumore del faro nei giorni di nebbia, quando hai fatto un aperitivo troppo lungo per poter portare quel nome con la dignità dei sobri, e quasi tutto gira ma lui, quasi sicuramente astemio per dovere, ti dice dove andare.
A quel caldo dentro di quando sai che niente lo può cambiare, all'odore degli involtini di casa tua e a quando torni dopo molto tempo ma ti chiamano ancora nani.
Alla risposta pronta e sagace, che va bene poliglotta ma nella tua lingua fai più ridere, a quel cappuccino con la schiuma così densa che lo zucchero non va giù, alle cassiere della Conad che aiutano la Piera a mettere la busta della spesa nel cestino della bici, e alla spianata.
E alle persone che non c'è bisogno di dire niente tanto capiscono tutto.
Non è che a casa sia tutto perfetto, probabilmente è la miopia della lontananza. Insomma, io alle medie mentre portavo la mia amica sul cannone della bici ho dato un morso ai suoi meravigliosi capelli perché crepavo di invidia. Tra parentesi utilissimo, mi sono quasi strozzata, ho dovuto camuffare continuando a pedalare, i suoi capelli sono rimasti meravigliosi e i miei irrimediabilmente ruffi.
E la casa è una gabbia, e non c'è niente da fare, e voglio fuggire via, e come faccio a trovare un uomo in questa penuria che c'è.
Mica falsità.
Solo che, da qua, diventano poca cosa. Che io la gabbia l'ho aperta, da fare bene l'ho trovato, l'uomo me lo sono preso lontano - e meraviglioso, per l'amor di Dio - e son scappata via. E adesso guardo indietro, e mi pare piùccheperfetto. Mi pare casa.