venerdì 10 giugno 2011

Si fa presto a dir vestito

Questo pezzo è di qualche mese fa, scritto per il “Blog del direttore” Franca Sozzani, che Dio l’abbia in gloria, e scelto e pubblicato sul numero di Vogue di questo mese, ma in maniera molto ridotta (le 1000 battute richieste mi erano sfuggite di mano). Per fargli onore lo pubblico nella sua versione originale, anche se un po’ attempato.

“Scrivete un pezzo su quello che, secondo voi, è il senso estetico del corpo femminile”.
Ho ripetuto qualche volta questa frase per iniziare a dare una forma ai miei pensieri, mentre il mio fidanzato belga alzava un sopracciglio, cercando di capire cosa stessi facendo.
Noi due, ad esempio, siamo un classico esempio di quella confusione che si crea quando si affronta questo tema, io sicuramente più influenzata dal fuori, lui al contrario lontano anni luce da quel fuori di cui sopra.
Che poi la confusione sarebbe anche bella, in teoria. Perché la molteplicità è sempre meglio dell’omologazione. E’ qui che ci siamo fregati, credo: nello sbagliare confusione. Manca di poesia, forse, il senso estetico del corpo femminile di oggi, ridotto a poca cosa, scontato, limato da un artigiano poco esperto. E pensare che in realtà sarebbe così complesso, molto difficile da definire. Mi viene in mente la mia prozia, la prima sartina di un piccolo paese in Romagna, che mi diceva sempre che i vestiti dovevano “cadere un po’ larghi, che fa più fine”.
Ieri sono andata a fare la spesa, e ho visto un bimbo che faceva il classico errore di buttarsi tra le gambe sbagliate, perché da sotto sembrano un po’ tutte uguali, le gambe.
Poi con un niqab, che sarebbe una sorta di burqa che lascia scoperto il volto, lo sono ancora di più. La mia prozia avrebbe pensato che erano un po’ troppo larghi, quei vestiti. Mi verrebbe da fare uno di quegli annunci alla publifono, “la voce della spiaggia da oltre 50 anni” che scandisce i pomeriggi estivi riminesi, per denunciare la scomparsa di un bimbo che rispondesse al nome di giusto medio.
La mia amica Alessandra mi ha fatto leggere un libro meraviglioso, che si chiama “L’arte della gioia”, di Goliarda Sapienza. Ecco, quando ripenso all’immaginario lasciatomi da quel romanzo, ritrovo un senso estetico molto reale, di donne vere, sfaccettate e non scontate. E la protagonista si chiama Modesta, voglio dire, non ha un nome impegnativo tipo Chanel o Tiffany. Mi ha lasciato un senso di libertà, di emancipazione intelligente, di sensualità avvolgente, che avvicino alla mia idea di donna, di mamma, di amante. Perché ho un po’ l’impressione che poi quando si pensa alla donna si va per scompartimenti stagni: o va ai festini o sa fare la parmigiana, o sa tanto di cinema oppure spende troppo in scarpe.
E la cosa difficile da digerire è che spesso siamo noi donne a cascarci, a volte pure a crearli, questi scompartimenti, allargando le fila delle cagnette irose cantate da quel genio genovese. Si riduce un po’ tutto al senso più immediato, quando credo invece che il corpo femminile dovrebbe essere – anche – uno specchio dell’interiorità, per quanto banale suoni questa frase, un avvilupparsi di dentro e fuori, tipo un DNA.
Mi piace pensare ad un mondo in cui la mia bimba non dovrà passare per quello da cui sono passata io, per cercare di rientrare in misure e schemi un po’ tristi. Anche perché poi, a sedici mesi, il suo giro vita è 53 cm. Ad un passo dal mito, praticamente.



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