Qualunque cosa.
L’ansia da possesso comincia molto prima dell’attrazione fatale per il sopravvalutato Touche Eclàt, il famoso Tiffany Blue o l’evergreen degli evergreen a doppia C.
La mia bimba, dall’alto dei suoi 82 centimetri, ha già ben chiaro che il suo stampino a castello è adorabilissimo, ma il secchiello a pois fucsia della vicina collega artista è un irrinunciabile must have.
Figuriamoci poi quando si parla di persone. La perfezione unenne, di cui sopra, è pacificamente convinta che io sia di sua proprietà, cosa che tra l’altro non mi dispiace affatto, perché assolutamente reciproca. Il neo della faccenda è che spesso questa convinzione si estende anche a persone molto più alte di lei. Chi non ha rosicato nel vedere la compagna di merende scambiarsi sguardi d’intesa con la nuova arrivata? O, di molto peggio, chi non si è seccata un bicchiere di rosso post incontro con l’ex, constatando che il proprio appeal era ufficialmente in cassa integrazione? (Trucchetto, in circostanze nefande come questa, è quello di concentrarsi sulla camminata con tacco in stato di ebrezza, per evitare di aggiungere imbarazzo a sdegno, gioiosi sentimenti che non hanno l’arte di annullarsi a vicenda).
Il sapientello di turno direbbe con aria vissuta che il punto è di non cadere nell’errore di credere di possedere. Thanks very much. Non è che io creda di possedere l’armadio di Alexa Chung, o per lo meno le sue gambe, ma lo sogno quand même. Ho l’impressione di tornare sempre a quell’ego da combattere, che non solo ti assicura che quella che stai sfoderando è una American Express Platinum, ma anche che con un’altra strisciata puoi mettere nella shopper le persone.
Una volta avevo un fidanzato che si lavava sfregandosi sugli alberi, e che diceva che nessuno possedeva nulla, in realtà. Io di sicuro non possedevo lui, come hanno dimostrato i fatti, ma credo che, albero a parte, il suo punto fosse buono. È un pezzo di strada, mi spiegava, quello che facciamo insieme. E non è il non amore che ci farà salutare, ma il fatto che le strade fanno giri strani, e ci si deve separare per ritrovarsi. O a volte non ci si ritrova più, ma in quel pezzo di strada abbiamo goduto della compagnia reciproca.
Magari la nausea dei tornanti potevi risparmiartela, penso io, se avevi allungato la strada per farla con lui, che poi al primo bivio ti aveva salutato. Ma la vista da lassù te la ricordi con piacere, adesso che il sapore del Travelgum è andato via. Ma ce ne vuole, a toglierlo. È un misto di amarognolo e menta con dolcificante, e tu mangi fragole con panna fresca, ma non va via. Devi aspettare un po’, provare a fregare il tempo e lavarti molto i denti. E ad un certo punto sbatti la lingua sul palato e ti accorgi che la liquirizia al mughetto ha vinto.
Quando la splendida unenne deve arrendersi al fatto che non può proprio portarsi via quella palla di Hello Kitty che si è abbracciata per tutto il tempo della spesa, si esibisce nella parte di tarantolata con urlo, tra la sorpresa degli astanti. Da adulti responsabili ci è impossibile roteare tra gli scaffali di sottoli al grido di “Heidi aiuto”, o comprare un pacco di Camel Light da dieci, vanificando la fatica di anni. Me personally, trovo una nuova ossessione su cui concentrare l’ego, ma non credo sia la soluzione più intelligente. Per consigli e suggerimenti, si prega di compilare e imbucare. Arrivederci e grazie.
p.s. nel caso in cui servissero modelli di delirio da mancata possessione, consiglio vivamente una overdose di Californication (la serie tv, non la canzone, per carità), se si è poveri da guardare in streaming: http://www.sidereel.com/Californication
4 commenti:
sante parole! è ben noto il misto di amarognolo e menta con dolcificante...
...pensato....sentito...e scritto da dio...come sempre! lovve!
grazie tesoro! mua! xx
Dici bene, mia cara. La adoratissima unenne fa quello che facciamo noi, ma non avendo ancora introiettato tutte le costrizioni della norma, lo esprime in maniera più schietta. E siccome ha del sangue divyno, come tu sai bene, lo fa da favola e nel più intenso dei modi. Plauso a lei. Quante volte ho sentito l’esigenza di esibirmi in una danza tarantolata con urla e pianti di fronte all’ennesimo scocciatore che mi strappa la palla – che sia sua, come insegna la Nour, è un dettaglio e uno piuttosto seccante. Perché quello che conta è che la voglio io. E scalpito, diomio se scalpito. E a volte mi chiedo se non debba fare un corso accelerato di zen o hyppismo. Ma poi dico no, ora è meglio di no, come dice Mina. E continuo a lavarmi con i miei bagnoschiuma di Korres e rosico, ma profumato Tom Ford, povero e pronto al prossimo duello, nel quale giocherò la carta della Nour.
Tuo dalla fredda Albione,
Nick
che dire? adoro, e ti adoro.
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